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al testo di Adielle
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Un distillato d' impotenze il mio sguardo che si leva al cielo non comprendere e far senza nuvole e coraggio vuol dire essere passeggero. Non restare. Ma se mi attardo col pensiero a raccimolare un cantuccio da cantare a tasche bucate, sotto la pioggia, con le viole incantate sul prato, una me la tatuo sul dorso del polso, minato nel verso dei tendini da tagli confusi di lama sottile, allora posso pretendere una tregua scandita dai battiti delle gocce sul dorso delle foglie minate da segni decifrati di natura variabile. Come per sentire la destrezza con cui si abbandona l'origine del mondo per trovare nuova sede ai pensieri pensati soltanto. Come, attratti da un centro qualunque, si possa dimenticare le proprie radici terrestri per un soffio superficiale di vita eterna, è un miracolo, uno stato d' animo che determina un benessere diffuso a filo d' erba, a partire dall' inguine, a patire lo stato di coscienza a patto si maledica ogni facile via d' uscita, di relazione condensatrice un unico scopo abbrutito alla nascita di un figlio o di un partito in quanto creare genera assuefazione come salvare o essere salvati. Così da morire, sembra una proiezione della materia. Eppure il vuoto che avanza sarà messo da parte per nuove esigenze d' estetica. Un contributo plastico sicuramente non necessario alle montagne circostanti cui si arreda. Questa la volontà fatta pietra d' angolo. Nucleico, essere umano laico, condannato alla reperibilità. |
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